#sentimenti_artificiali

#Sentimenti_artificiali

Chissà perchè le migliori storie che parlano di amore e intelligenze artificiali si concentrano il più delle volte sul corpo femminile trasformandolo in una macchina. Ma per fortuna non è sempre così, vi ricordate il bravissimo Robin Williams in “L’uomo bicentenario”, tratto dal racconto di Asimov?. La narrazione puntava alla domanda emblematica su cosa significhi essere umani. Comunque, il tema delle macchine che provano sentimenti è antico quanto il mondo. Persino partendo dalla Bibbia, Eva si potrebbe (ci prendiamo una piccola licenza) una creatura artificiale ante litteram, creata dalla costola di Adamo. L’amore artificiale diventa un paradigma nel mito greco di Pigmalione (v. Le metamorfosi di P. Ovidio X ), dove si narra del folle sentimento provato dallo scultore per una statua da lui modellata. Ammirato dalla propria opera, per quanto fosse bella e perfetta, Pigmalione se ne innamorò perdutamente, tanto da chiedere alla dea Afrodite di donarle la vita. 

Il connubio tra donne e sentimenti artificiali può essere cercato come una costante nel genere fantastico. È affascinate come il sentimento dell’amore trovi spazio negli ambienti fantascientifici e venga impastato in tantissime trame, alcune ben riuscite altre meno. 

I grandi autori di genere, come Philip Dick hanno dato vita alle figure femminili più intriganti che sono rimaste nella nostra memoria. Rachel nel “Cacciatore di Androidi” (trasposto nella celeberrima pellicola “Blade Runner”) ne è un esempio. Fredda e misteriosa, ma con la scintilla dell’amore che non può essere mai perfetto o duraturo. Il fatto è che per quanto poco duraturo provare amore ne vale sempre la pena.

Si scava ancora di più nei sentimenti quando nel film “Her” (“Lei” del 2013) il protagonista prova amore per un’immateriale assistente virtuale.

Il Sol Levante ci ha regalato altri esempi indimenticabili tra manga e animazione. Si arrivano a condire le trame persino di domande filosofiche sulla vita e i sentimenti. Merita una citazione la serie del maestro Osamu Tezuka “La Fenice” un manga in dodici volumi del 1954, e poi ripreso dal film di animazione del 1980 “L’uccello di fuoco 2772”. Una meravigliosa e imperdibile metafora sulla vita e l’amore ( v trama https://it.wikipedia.org/wiki/L%27uccello_di_fuoco_2772 ). 

Rimanendo in ambito di film animazione giapponese d’annata, tiriamo fuori dal cappello “Ghost in the Shell”, degli anni Novanta scritto da Masamune Shirow e diretto da Mamoru Oshii. Anche qui si scende nel profondo delle questioni filosofiche che ci tormentano, sprofondando nelle domande sulla propria identità e paura della morte. 

Il filone non sembra mai esaurirsi, negli ultimi anni anche serie televisive hanno raccontato la questione, “Soulmates” e “One” (anche se non di grandissimo successo) hanno tirato fuori domande sulla capacità di affidarsi a una macchina per trovare risposte ai propri tormenti amorosi.